Una critica al cottimo, Poletti #staisereno


Il cottimo è una fonte di continuo conflitto e profonda sfiducia tra lavoratori e management; i lavoratori hanno sempre odiato i cronometristi tayloristici che misurano i tempi di lavoro, escogitano strategie di difesa, si aggiungono attività inutili durante il lavoro per allungare i tempi e far sembrare che i tempi reali siano quelli in modo di riuscire a guadagnare e a non farsi sfruttare troppo, si nascondono ai capi i tempi reali di lavoro per poter guadagnare il premio del cottimo.

La risposta dei lavoratori al cottimo è lontana da quanto la direzione si propone, il rendimento del lavoratore si concentra in due punte, una al di sopra della soglia in cui scatta l’incentivo (accettano il cottimo) e una al di sotto (rifiutano il cottimo). Le ragioni delle differenze si trovano nell’imperfezione del sistema di cottimo e nel diverso atteggiamento dei lavoratori. Per i lavoratori vi sono lavori magri in cui è difficile guadagnare a cottimo e lavori grassi dove è facile il cottimo.

Le deviazioni nell’uso di cottimo oltre che dai duelli tra lavoratori e cronometristi nascono anche da una rete di complicità che coinvolgono altre figure professionali, ad esempio manutentori, carrellisti e capisquadra (che spesso mediano tra le richieste del management e la preoccupazione di non perdere il consenso degli operai).

L’intero sistema di motivazioni che spinge i lavoratori a lavorare che non è solo economico, il lavoro è anche vissuto come una gara con te stesso in cui il lavoratore sfida se stesso nel superare i limiti dei ritmi che prima credeva irraggiungibili. Contano anche i giochi di produzione, che inducono i lavoratori a fare il making out, a raggiungere cioè le quote di produzione stabilite come se si trattasse di una corsa ad ostacoli da eseguire entro un certo tempo, ci si destreggia tra regole e vincoli in modo da avanzare il più presto possibile verso il risultato finale.

Poletti #staisereno e pensa ai numeri

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