Essere Partigiano


 

Essere partigiano non è legato a un momento storico preciso. Oggi, come ieri, adolescenti, ragazzi, studenti, uomini e donne, sono sulle barricate, sulle montagne, nei fossati, nelle trincee, sui bricchi, in mezzo alle strade, nelle piazze di ogni città. Anche se non lo dicono, non lo pubblicizzano, ci sono. Sono lì, in mezzo a noi. Sempre all’erta. Sempre con lo zaino pronto. E’ importante sapere se sono la maggioranza? No. Gli equilibri di una società sono per loro natura variabili. Grazie ragazze e ragazzi della montagna. Pronti all’azione, dopo la riflessione, dopo aver capito. Sicure e certi di dover andare. Siamo noi che non ce ne accorgiamo. Noi, piccoli esseri mediocri che scivoliamo sulla realtà che costruiamo. Che volutamente accettiamo il reale solo per i nostri interessi individuali. E questo è un grande errore, è l’errore. Un errore che spesso non è una scelta, ma un’accettazione passiva di uno stato di fatto. Quindi, più che un errore, una vera e propria complicità. La complicità della non volontà al cambiamento. Io non voglio essere complice.

Essere partigiano non è una manifestazione, un comportamento individuale, ma un sentimento collettivo. Superare l’individualità richiede il coinvolgimento e il supporto di altri individui. Le idee non sono mai vere, utilizzabili, applicabili, se non condivise. Se non sono idee legate al bene comune, non sono utilizzabili per l’insieme. Se non sono solo idee, allora essere donna e uomo, o altro, significa lottare per una società dove non esistono diversità. Differenze. Dove siamo tutti uguali. Questo è un piano di azione. E’ un obiettivo. E’ un traguardo.

Essere partigiano significa essere parte di un pensiero che nega l’individualità come motore dello sviluppo dell’insieme, che nega la ricerca spasmodica del proprio interesse, anche a scapito degli altri, quando gli altri si comportano opportunisticamente, per il bene comune. La crescita di una società è un’azione collettiva, non la somma di individualità imprenditoriali. La specializzazione economica è una delle dimensioni della nostra società.

Essere partigiano non è un comportamento che si adatta alle circostanze. E’ espressione di una custodia di valori. E’ un pensiero profondo. Non ha età. Ma al tempo stesso conosce che questi valori dipendono dalla realtà stessa. “E’ ora di finirla dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo”.

Essere partigiano è conoscere dove la storiografia, dove la storia sbaglia, dove gli storici sbagliano. Profondamente. Pensando che la Resistenza sia stata solo una reazione “storica”, limitata nel tempo, a una situazione ambientale avversa. I fascisti sono tra noi, non lo dobbiamo mai dimenticare.

Essere partigiano non identifica una realtà assoluta, universalistica. Ma sapere che il fascismo può risorgere. Che il fascismo si annida dappertutto. Tocca a noi non alimentarlo. Sta a noi essere all’erta.

Essere partigiano non significa avere in mente una soluzione. Vuol dire avere in mente valori e idee. Conoscere che occorre prendere posizione. Sempre. Avere un proprio sistema culturale, sapere che esistono principi che hanno una validazione storica ed essere convinto che lo possano guidare nel futuro.

Essere partigiano, significa conoscere che si deve essere in grado di leggere la realtà. Che l’indifferenza è fonte di potere per chi di tale indifferenza vive e gestisce, per ora, la realtà.

Essere partigiano, vuol dire sapere che dopo la lettura della realtà, non ci si deve deve fermare, esiste il cambiamento, esiste la rivoluzione. Significa sapere che non si deve agire d’impulso. Prima si deve pensare. Il pensiero è più importante che l’azione.

Il partigiano sa che ci sono altri partigiani. Sa che non è solo. Cerca gli altri partigiani. Sa che sono in montagna. Lo stanno aspettando,

Continuano a dirci che il mondo si divide tra chi crede nei valori e chi crede nel valore. Con tutte le sfumature di mezzo. Il valore è uno stato di mezzo. Solo i valori ci portano a essere coscienti dei nostri limiti, solo i valori ci fanno scalare le montagne. Gli ostacoli, le mancate prese, la mancanza di appigli sono la sfida. Sono la ricerca dell’uguaglianza. Non siamo uguali, ma siamo consapevoli che volere essere uguali è allo stesso tempo il punto di partenza e quello di arrivo.

Allora mi chiedo se la nostra realtà si deve basare solo sul mercinomio? Lo scambio in sé è un atto naturale. La transazione sul valore, può avere dimensioni più alte di quelle economiche.

Scardinare un sistema di potere significa smontarne le logiche, non attenuarne le conseguenze.

…..

Antonio Gramsci – Indifferenti

“Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.

L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?

Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.

Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”.

11 febbraio 1917

Condividi su:facebooktwittergoogle_pluslinkedinmailby feather

Segui su: facebooktwittergoogle_pluslinkedinby feather