La tecnologia Possibile 1


L’impatto della tecnologia sulle dinamiche del lavoro

Dalla rivoluzione industriale in poi, risulta evidente che l’introduzione di nuove tecnologie tende, progressivamente, a marginalizzare il ruolo e l’importanza del lavoro umano. Questo è stato vero dapprima nel settore dell’economia primaria (produzione agricola), dove l’impiego di macchine altamente efficienti ha ridotto drammaticamente la necessità di impiego di grandi quantità di lavoratori; successivamente il fenomeno si è ripetuto nel secondario (produzione industriale), dove l’impiego di macchinari di produzione massiva, dapprima, e della robotica poi ha marginalizzato la necessità di impiego di operai (prima “generici”, ma poi anche ad alta specializzazione); e infine il velocissimo incremento delle potenzialità tecnologiche è andato ad impattare anche il terziario, dove anche servizi altamente specializzati sono stati progressivamente soppiantati dalle capacità autonome delle applicazioni informatiche.

Basti pensare, ad esempio e per rimanere nell’ambito dei servizi ICT, alle competenze che erano necessarie, fino alla fine degli anni ottanta del secolo scorso, per gestire e rendere massimamente efficienti i sistemi informativi, in raffronto alle capacità di “auto-tuning” dei sistemi attuali, che rendono superflue in una gran parte dei casi quelle specializzazioni “deep inside” che restano appannaggio di pochi eletti.

E il fenomeno non è destinato a fermarsi: l’impiego sempre più esteso e pervasivo di sistemi esperti, basati su reti neurali e principi di intelligenza artificiale (si pensi ad esempio ai sistemi di “scoring” del livello di fiducia da accordare a un utente in funzione dei suoi comportamenti di acquisto), andrà sempre più a rendere ridondante, o quantomeno a ridurne l’impatto, il lavoro degli analisti e di coloro che operano nel campo dei controlli di qualità, di efficienza, di sicurezza e così via.

Tradizionalmente, l’atteggiamento delle organizzazioni di sinistra e dei sindacati, sotto questi aspetti, è stato di difesa e di retroguardia, teso a contrastare gli effetti negativi del cambiamento, in una battaglia inevitabilmente perdente.

E’ invece necessario ripensare alle radici il paradigma: la tecnologia in sé è neutrale e dovrebbe essere messa al servizio delle persone. Liberare l’essere umano dalla schiavitù del lavoro “coatto” e metterlo nelle condizioni di poter sviluppare le proprie capacità nel modo più creativo e libero dovrebbe essere considerato un obiettivo da perseguire e un passo avanti verso il diritto alla felicità che viene efficacemente richiamato nella Costituzione americana. Quella che è da modificare radicalmente è la distribuzione dei benefici che la tecnologia procura: spostarla dalla concentrazione nelle mani di pochi, anche con meccanismi fiscali adeguati, alla intera società è un atto non solo di equità e solidarietà sociale, ma anche di giustizia, poiché la stragrande maggioranza dei progressi, soprattutto nel campo delle tecnologie dell’informazione (ma non solo: si pensi ad esempio alle biotecnologie o alla green economy), deriva da investimenti e capacità “visionarie” sviluppate negli ambienti di ricerca pubblici e con il sostegno economico degli stati; permettere quindi che i risultati di questi sforzi vengano poi capitalizzati da pochi è semplicemente iniquo e antidemocratico.

Inoltre, è anche un atteggiamento lungimirante, perché la distribuzione della ricchezza aumenta la base contributiva e finanzia quindi con maggiore efficienza il sistema nazionale di ricerca, che è in grado, in un circolo virtuoso, di porre le basi per la generazione di nuova ricchezza.

L’impatto della tecnologia sui diritti individuali

Anche in questo caso, siamo di fronte ad enormi potenzialità di miglioramento della qualità della vita dei cittadini: si pensi al livello di trasparenza e quindi di controllo “dal basso” sull’operato degli amministratori offerto dalle tecnologie Open Data, o alle possibilità di miglioramento tecnologico unito a risparmio di risorse pubbliche offerte dalla comunità Open Source, solo per fare un paio di esempi.

Per non parlare di argomenti ormai scontati, come il miglioramento della qualità e velocità dei servizi pubblici resi al cittadino o la semplificazione burocratica.

Va però sottolineato come, soprattutto in Italia, questi processi siano rallentati da un apparato burocratico che, nel migliore dei casi, è lento e poco efficiente, ma molto spesso lo è consapevolmente, facendo il gioco di un sistema corruttivo e “preferenziale” che, ancora una volta, tende a dirottare i benefici ottenuti con gli investimenti di tutti nelle tasche di pochi.

Ma un altro aspetto va considerato attentamente: i progressi tecnologici raggiunti nel campo del trattamento delle informazioni (si pensi ad esempio alla tematica Big Data), permettono di raggiungere livelli e profondità di analisi fino a solo cinque anni fa impensabili; queste possibilità, ancora una volta di per sé neutrali, vengono però spesso impiegate per intromettersi in modo pervasivo nella sfera privata dei cittadini, spesso con il pretesto di difenderne la sicurezza (e in questa fase storica la cosa si percepisce tangibilmente), ma in realtà per indirizzarne abitudini, comportamenti, preferenze, allo scopo di esercitare un controllo ferreo sulle scelte del cittadino/consumatore (dove la seconda accezione tende sempre più a prevalere sulla prima).

Questa tendenza va combattuta decisamente: gli strumenti che la tecnologia ci mette a disposizione vanno utilizzati, al massimo delle loro potenzialità, ma il quadro di controllo democratico che li circonda deve garantire il diritto del singolo di decidere cosa e come condividere.

La tecnologia e l’inclusione

La diffusione di Internet prima e l’avvento dei social poi, ha esteso la “piazza virtuale” a un numero enorme di persone, permettendo lo sviluppo di confronti di opinioni, condivisione di informazioni, scambio di servizi e così via.

Bisogna però evitare che questo comporti l’esclusione di coloro che, per collocazione geografica, per classe sociale di appartenenza o per età, non siano immediatamente in grado di fruire di questi strumenti.

Se è vero quindi che dispositivi come PC, tablet o smartphone sono ormai largamente impiegati per accedere all’agorà virtuale dell’informazione, è necessario prevedere misure per mettere tutti i cittadini in condizione di usufruirne, sia sotto il profilo della disponibilità degli strumenti, sia per quanto riguarda i meccanismi di alfabetizzazione, sia infine per l’estensione dell’infrastruttura comunicativa necessaria a rendere i servizi telematici avanzati fruibili in ogni parte del paese. Questo ingente sforzo economico da parte pubblica ci pare molto più urgente, e con un potenziale di utilità molto più alto, ad esempio dell’ennesima riproposizione del ponte sullo stretto.

I social e l’elaborazione delle idee

E’ innegabile che l’immediatezza e la capacità di diffondere messaggi ad ampio raggio garantite dai social non ha eguali in nessun altro ambito dei media, ma anche questa medaglia ha il suo risvolto.

Puntare tutto sull’intelligenza della rete, come ha fatto il M5S, comporta dei rischi non marginali, sia sotto l’aspetto democratico (non esistono sistemi infallibili per prevenire “breach” nei sistemi di controllo), si aper quanto riguarda le capacità di elaborazione: si assiste spesso a discussioni in rete che, per la natura intrinseca del mezzo, tendono progressivamente a radicalizzarsi, perdendo la ricchezza del confronto e la profondità che può venire solo da un approccio ragionato e che ha il tempo di articolare e sedimentare le argomentazioni.

Questa malattia va contrastata con robuste iniezioni di confronto nel mondo reale, dove le persone abbiano modo di dibattere le proprie idee, di approfondire i concetti, di adottare un approccio aperto e collaborativo con gli interlocutori, alla ricerca di momenti di sintesi e non di effimere vittorie in battaglie dialettiche spesso supportate dai “mi piace” dei tifosi.

Va inoltre combattuta ostinatamente la volontà dei “potenti” di utilizzare i social come strumenti unilaterali di comunicazione, per scopi politici o semplici finalità commerciali: non è questo lo scopo per cui sono nati e non è questa la volontà della maggior parte dei loro utenti: bisogna adottare strategie difensive sotto questo aspetto, per ricambiare gli opportunisti con la loro stessa moneta (tweet bombing, mail bombing, DDoS…).

Proposte

L’infrastruttura della rete telematica deve rimanere nella proprietà pubblica e deve essere sviluppato un piano di estensione mirato all’inclusione di tutta la cittadinanza.

Si deve sviluppare un piano di alfabetizzazione che metta tutti i cittadini (con particolare riferimento alle classi più svantaggiate e ai migranti) di usufruire dei servizi offerti dalla tecnologia.

Si deve sviluppare un piano di incentivazione per garantire a tutti i cittadini gli strumenti necessari a poter usufruire dei servizi, individuando meccanismi premianti per quei fornitori, di beni e di servizi, che indirizzino la loro offerta e gli sforzi di R&S in questa direzione (utilizzando anche i fondi europei).

Bisogna ridare respiro e bonificare dal malaffare le agenzie regionali che erogano fondi a sostegno dell’innovazione, indirizzando le risorse disponibili (che oggi restano in larga parte inutilizzate, quando non sono dirottate verso beneficiari “illeciti”) a sostegno delle iniziative di cui possano fruire i cittadini oggi esclusi dall’agorà digitale

Va ripensato il piano nazionale di incentivi all’innovazione, riportando al centro la ricerca (di base e applicata) sviluppata all’interno delle università, creando una rete efficace di collaborazione fra pubblico e privato e dando priorità ai progetti innovativi che possano mettere il sistema paese in condizione di competere efficacemente nel contesto internazionale; oggi in Italia le aziende private che fanno reale innovazione nel campo ICT sono pochissime, e quelle poche sono spesso costrette a cercarsi il sostengo finanziario all’estero e quindi, poi, a trasferire all’estero almeno parte della ricchezza che riescono a produrre. Mentre troppo spesso le aziende che ottengono finanziamenti non hanno né le caratteristiche, né la capacità di produrre reale innovazione, ma si limitano a rimasticare progetti già sviluppati altrove, contando sull’appoggio del politico di turno per ottenere denaro essenzialmente a fondo perduto e che non va ad arricchire le conoscenze e le competenze del sistema produttivo nazionale.

Su questi temi sarebbe interessante organizzare un convegno nazionale, coinvolgendo personalità di spicco e presentando una piattaforma articolata di proposte, da parte di Possibile.

 

Maurizio Sapora e Luca Gnan

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Un commento su “La tecnologia Possibile

  • Roberto C.

    “Su questi temi sarebbe interessante organizzare un convegno nazionale, coinvolgendo personalità di spicco e presentando una piattaforma articolata di proposte, da parte di Possibile.”

    E non magari una serie di “workshop” organizzati da Possibile, magari nelle sedi dei maggiori atenei italiani? Per arrivare alla fine alla piattaforma articolata di proposte?

I commenti sono chiusi.