I cinque perché di Possibile 1


1) Perché un nuovo mondo possibile?

2) Perché un nuovo soggetto politico capace di cambiare la società?

3) Perché un nuovo partito che raccolga, coordini e trovi proprio il perché di una società complessa, in assenza d’idee unificanti?

4) Perché un nuovo partito, unico in grado di far riemergere le idee partendo dai bisogni e dalle necessità reali e attuali e che possano rivitalizzare le Istituzioni della Società?

5) L’articolo 49 della Costituzione definisce cosa deve fare un partito (“concorre a determinare la politica nazionale”), ma non dice come. Il problema è dunque anche di forma, non solo di sostanza. Di certo le soluzioni veloci, appassionanti, attraenti, televisive, non sono delle soluzioni organizzative. Partito pesante, leggero, liquido, personalistico, comitato elettorale sono tutte categorie, etichette che non rappresentano assolutamente la nostra soluzione organizzativa. E’ questo il quinto perché.

Noi crediamo che occorra coniugare sostanza e forma… Per dare pieno significato alla nostra Costituzione, Possibile si deve mettere in cammino per trovare nuovi modi di rappresentazione/deliberazione democratica, traendo dai territori, attraverso i Comitati e non solo, le esigenze e gli stimoli alle soluzioni che solo in una progressiva unione recuperino espressione a livello nazionale.

Ma questo è possibile solo se Possibile vive davvero. Non può essere considerato solo una semplice macchina che si accende alle scadenze elettorali. Invertire il funzionamento che contraddistingue tutti gli attuali partiti, NESSUNO esclusoLe scadenze elettorali sono la fine di un ciclo di vita del partito, momento di verifica delle idee portate avanti fino allora.

Questo significa, allora, ridefinire il significato di partecipazione e militanza. Non si è pieni cittadini, se non si vive la propria cittadinanza nei processi decisionali del partito.

La crisi economica ci ha condotto a una psicologia della rinuncia. La cruda realtà ci dice che molti soffrono la radicalità della crisi quando toglie loro la possibilità di fare delle scelte lavorative, di impegnarsi per un futuro migliore. L’idea che l’impegno individuale abbia efficacia sembra essere finito insieme ai posti di lavoro. È il segno della gravità di questa crisi. Ma è anche il segnale che occorre cogliere, se vogliamo costruire Possibile.

Occorre ripartire dalle singole individualità, dimenticare la messianicità del leader, ridare la possibilità agli individui di farsi carico di problemi concreti che quotidianamente li coinvolgono e che le istituzioni rappresentative, a tutti i livelli, dai Comuni in su, sempre più fanno fatica a risolvere. Dalle cose più umili a quelle di rilevanza nazionale. Occorre far ripartire il dibattito pubblico, dove tutte le argomentazioni devono avere pari dignità. Il conflitto cognitivo è sempre meglio dell’indifferenza. Io odio gli indifferenti diceva qualcuno. Le istituzioni rappresentative, locali e nazionali tireranno le somme finali del dibattito pubblico.

Un dibattito pubblico, vero, come quello che si è realizzato al Politicamp a Firenze e agli Stati Generali di Napoli di quest’anno, con regole e procedure, che approfitta anche della rete per arrivare a luoghi reali, una rete non solo meccanismo di reazione incontrollabile. Dando impulso al dibattito, Possibile allora potrà entrare a testa alta, attraverso i problemi, nel tessuto sociale.

La scommessa è riavvicinare, su basi di legittimazione più chiare, le istituzioni rappresentative. Sfruttare il capitale sociale di cui l’Italia è ricca (i volontari, le associazioni, i saperi, …) e collegare il dibattito al capitale politico esistente. Di diminuire i costi di una burocrazia che spesso risponde solo a se stessa.

Un partito Possibile, che offra quest’opera molecolare di rianimazione politica e culturale, avrebbe di colpo il suo programma. Possibile non ha bisogno di leader, ha bisogno di cittadinanza. Un partito Possibile in cui si sia orgogliosi di dire “Possibile siamo noi”.

“Non si nasconde fuori dal mondo chi lo salva e non lo sa. E’ uno come noi, non dei migliori”.

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Un commento su “I cinque perché di Possibile

  • Bruno Amore

    ” far riemergere le idee partendo dai bisogni e dalle necessità reali e attuali” di chi? La sempre più esecrata “ideologia” delimitava il settore, la classe, l’ambito sociale coi suoi bisogni specifici cui dare rappresentanza e si impegnava a creare e conquistare condizioni favorevoli per soddisfarli. La locuzione di cui sopra, così in senso lato, fa pensare alla proposta di un consiglio di amministrazione che si rende disponibile ad accontentare un po’ tutti. Mi pare ci sia già chi propugna il “partito nazionale”. Vorrei che il mondo diverso di POSSIBILE fosse, inequivocabilmente, alternativo al liberismo “senza se e senza ma”, dichiarandolo apertamente.

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