Lo Stato di Cultura in un’Europa mai stata Stato e in una Scuola sempre meno statale


Ci ha molto colpito leggere della nostra Costituzione come Costituzione culturale, perché lo Stato Italiano è promotore della cultura e, quindi, definito anche Stato di cultura. Ma è proprio uscendo da quest’ottica nazionalista e, in quanto facenti parte di un “ente-confederazione-Unione” europea, che si deve iniziare a pensare a cosa vuol dire “promuovere la cultura”.

È l’articolo 24 delle Conclusione della Presidenza del Consiglio Europeo di Lisbona del 23-24 marzo del 2000 a dire che “Le persone sono la principale risorsa dell’Europa e su di esse dovrebbero essere imperniate le politiche dell’Unione. Investire nelle persone e sviluppare uno Stato sociale attivo e dinamico sarà essenziale per la posizione dell’Europa nell’economia della conoscenza nonché per garantire che l’affermarsi di questa nuova economia non aggravi i problemi sociali esistenti rappresentati dalla disoccupazione, dall’esclusione sociale e dalla povertà”. Da allora, seppur sono passati solo una manciata di anni, il mondo sembra essere cambiato, e, non solo le persone, ma anche gli obiettivi (seppur intenzionalmente buoni) e le finalità… sono sempre le stesse.

Ragionando in un’ottica europea, è grazie al Fondo Sociale Europeo che, in tutti i paesi facenti parte dell’UE, sono finanziate iniziative finalizzate ad aiutare i giovani a realizzare il “sogno” di formarsi per essere competitivi nel mercato del lavoro, attuando politiche a favore del miglioramento dell’istruzione e della formazione. La parola “sogno” non è utilizzata a caso (https://youtu.be/mSfYme_TL48). Ma rappresenta quello che oggi è diventato un miraggio: studiare per trovare lavoro e non solo per il piacere di conoscere e scoprire il mondo attraverso la curiosità che nasce leggendo, a volte, anche noiosissimi manuali. Leggiamo che l’FSE sta collaborando con le Università e con gli istituti di formazione per consolidare i rapporti con le imprese a vari livelli (regionale, nazionale e oltre confini nazionali) anche a sostegno di giovani innovatori nei settori più propriamente tecnologici. In realtà la politica dell’UE si limita a sostenere gli interventi nazionali e contribuisce ad affrontare le sfide comuni, come l’invecchiamento della popolazione, il fabbisogno di qualifiche, lo sviluppo tecnologico e la concorrenza mondiale. L’Unione Europea nel programma a favore dell’istruzione e della formazione ha attuato il programma ERASMUS+ favorendo lo sviluppo, le competenze e le prospettive professionali, sostenendo iniziative nel campo della formazione dando la possibilità di istruirsi, formarsi e acquisire esperienze professionali. Ma è ciascun paese europeo responsabile del proprio sistema d’istruzione e di formazione e sono gli Stati membri che si confrontano per cooperare su una base volontaria, secondo il “metodo del coordinamento aperto” per migliorare i propri sistemi di istruzione e di formazione nazionali, attraverso il coordinamento delle politiche per la scuola, lo scambio di buone prassi e l’apprendimento reciproco.

L’Europa punta alla promozione di progetti volti a ridurre l’abbandono scolastico in età prematura e a dotare i giovani di competenze e qualificazioni adeguate nella ricerca di un mondo del lavoro sempre più orientate verso la tecnologia e in aiuto nei confronti delle minoranze e degli immigrati, con i quali l’Unione Europea, per vicinanza geografica, per contesti storici, e in un mondo che ha scelto la globalizzazione, deve fare i conti.

In una relazione della Commissione europea si evince che in Italia la spesa pubblica per l’istruzione in percentuale del PIL (4,2% nel 2012) è fra le più basse dell’Unione europea, soprattutto per quanto riguarda l’Università. E l’Italia, rispetto ad altri paesi europei, continua ad essere in ritardo in termini di formazione del capitale umano perché il tasso di abbandono degli studi resta elevato, inoltre in termini di competenze di base, i risultati degli studenti sono allineati o superiori alla media UE nelle regioni settentrionali, ma significativamente inferiori nelle regioni meridionali. Inoltre il monitoraggio della qualità della scuola è ancora in una fase iniziale e il tasso di istruzione terziaria per la fascia di età da 30 a 34 anni è il più basso dell’Unione europea e infine è dimostrata la difficoltà di passare dalla scuola al lavoro, anche per le persone altamente qualificate.

Nel complesso, la scuola italiana porta con sé ancora l’immagine di una scuola, con un metodo d’insegnamento, piuttosto tradizionale e lontano dal professore de L’attimo fuggente.

Le lezioni sono impartite secondo il metodo dell’insegnamento frontale con i relativi vincoli legati al programma e alle risorse sempre più limitate a disposizione. Dove ci si confonde tra traduzioni di latino e stage. Dove è sempre meglio coltivare l’orticello di casa piuttosto che guardare al mondo. Dove ci si confonde con la storia e con i nomi con le convinzioni che Che Guevara era un attore o Urbino sia in Umbria pensando al congiuntivo come a una prassi fuori moda. E se sono proprio i nostri politicanti i primi a non prendere sul serio l’importanza di un sostegno finanziario alla scuola pubblica, come può pensarci l’Europa, che non ha poteri che la definiscono come un’entità superiore al nazionalismo? Forse è il caso di rimandare il dibattito a un momento futuro in cui, una volta sistemata la scuola pubblica, si possa pensare ad aiutare anche la scuola privata in modo tale che i genitori e i futuri studenti siano veramente liberi di scegliere consapevolmente cosa sia meglio per il loro futuro. Per quel futuro che hanno in sogno di realizzare.

Ersilia Ferraro e Luca Gnan

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